1.25.2008

Il poster della Juve

Ogni gioco significa qualche cosa. Se chiamiamo spirituale questo principio attivo che dà al gioco la sua essenza diciamo troppo;
se lo chiamiamo istinto non diciamo nulla.
Johan Huizinga

Num mundo sem religião, o futebol è a religião moderna e os jogadores, os ídolos.
O jogador è o sacerdote: oficia por nós. O estádio è a catedral.
Ruy Belo



Quella sera avrebbero giocato coi grandi, pensò Daniele, appena sveglio.
– Butei, doman se zuga coi grandi – li aveva informati Salvoro la sera prima. Nessuno aveva avuto il coraggio di obiettare nulla. Salvoro era il boss, al campetto dettava legge lui, quello coi piedi buoni. Daniele lo odiava e lo amava insieme: Salvoro era un prepotente, un violento, ma col pallone faceva numeri incredibili per un bambino della sua età. Quando si stava in squadra con lui gli si poteva perdonare tutto. Ma sfidare i grandi no, né Daniele né gli altri della cricca di Salvoro, in cuor loro, credevano fosse una bella pensata: invitare i ragazzi più grandi nel loro campetto significava offrirsi spontaneamente a un massacro di pedate, pestoni e calcioni sugli stinchi, mettersi alla mercè della cattiveria di giovani delinquenti del calibro di Busato, Falesso, Gaiga e così via, gente che stava ripetendo la terza media e nemmeno per la prima volta, rifletteva Daniele rigirandosi nel letto, per non parlare del fatto che girava voce che i tre vendessero sigarette e goldoni nei cessi della scuola, e chissà cos’altro ci facevano che ci passavano tutta la mattina e nessuno aveva il coraggio di andare a vedere, nemmeno gli insegnanti e tanto meno il preside, cosa diavolo combinassero quei tre nei cessi; si sapeva solo che, di quando in quando, lasciavano entrare delle ragazze, ma solo le più grandi, e se ne raccontavano di tutti i colori su cosa succedesse nei bagni in quelle occasioni, i traffici loschi venivano sospesi, si chiudevano le porte dei bagni addirittura a chiave e due tirapiedi si piazzavano fuori di guardia. Poi un giorno la Cristina Businaro non è più venuta a scuola e tutti dicevano che era incinta.
Un suicidio collettivo bello e buono insomma, giocare a calcio con quelli, e tuttavia nessuno si sarebbe messo a discutere con Salvoro cercando di fargli cambiare idea. In fondo, riflettè Daniele, tutta la banda si fidava ciecamente di lui: chi per il furore agonistico che sprigionava in campo, chi per il suo tasso tecnico, chi per la sua dimestichezza nel menar le mani, chi per il suo impareggiabile fiuto per i nascondigli segreti di giornaletti porno. Si affidavano alla sua esperienza in ogni frangente, si alimentavano quotidianamente del suo carisma; lo odiavano, ma era il loro unico punto di riferimento. In classe, rammentava Daniele, Salvoro aveva dato non pochi saggi della sua indole. Per prima cosa, fin dall’inizio dell’anno, Salvoro si era auto-investito del diritto a portare in classe materiale pornografico e farne bella mostra sul banco, con speciale scrupolo nelle ore di religione; in seguito, durante una zuffa scoppiata con Gaiga per cause imprecisate, Salvoro era riuscito a omaggiarlo di un bel cartone in faccia, ricevendone in cambio almeno una decina, e di ben altra fattura, di cartoni, e rifugiandosi poi in classe con un occhio nero, dolorante e piagnucolante, nondimeno un vero eroe agli occhi pavidi e immaturi di cazzotti di Daniele e compagni, l’unico alunno della scuola che avesse avuto il coraggio di alzare le mani contro Gaiga, un esponente di spicco della Combriccola dei Bagni; e infine, il vero capolavoro di Salvoro, un atto talmente audace che nemmeno i grandi avevano mai osato tanto, e proprio per questo non si sarebbero sottratti alla sua sfida, anzi: smaniavano di ribadire in pubblico la propria reputazione di bulli, nonché di infliggere una dura lezione al marmocchietto che s’illudeva di poter competere con loro a suon di note sul libretto e sospensioni. Daniele si alzò dal letto, entrò in bagno e rievocò l’evento mentre si lavava i denti.
Era successo pochi giorni prima. L’entusiasmo per il primo storico scudetto vinto dall’Hellas Verona era alle stelle e tutti avevano portato in classe i poster dei Campioni d’Italia 1984–85 da appendere. Le due pareti lunghe della classe, normalmente rivestite da pannelli di compensato marino, erano ricoperte quasi per intero di poster gialloblù. Fatto sta che l’insegnante di scienze era juventina e, in mezzo a gigantografie di Pierino Fanna, pose laocoontiche di Preben Larsen Elkjaer, primi piani di “Nanu” Galderisi, una caricatura di Osvaldo Bagnoli disegnata da Forattini e sfavillanti foto di squadra in tutte le salse, aveva pensato bene, l’impavida, di esporre un poster della Juve, fra l’altro vecchio come il cucco (Coppa UEFA 1976–77). Quel giorno e il successivo Salvoro aveva fatto berna: per nulla interessato alle lezioni, indipendentemente dalla fede calcistica dell’insegnante, aveva preferito spendere un paio di mattine scorrazzando per il paese in motorino (inculato a suo fratello) a festeggiare l’Hellas. Ma già il terzo giorno era tornato a scuola. Daniele, con lo spazzolino fra i denti, ricordò di aver pensato che Salvoro doveva avere le sue buone ragioni per sospendere la berna così presto. In effetti Salvoro, di buone ragioni ne aveva eccome, ne aveva di ottime ne aveva. Era entrato in classe con un tubo da architetto in mano e una strana, inedita, espressione sul volto, scaltra ed ebete a un tempo. Daniele stava giocando a figu con un compagno ma, intuendo che qualcosa di grosso stava bollendo in testa a Salvoro, aveva mollato a metà una partita di muretto molto promettente. Salvoro, individuato uno dei pochi spazi vuoti sui pannelli di legno, aveva dato il via a un oscuro e seducente cerimoniale: aperto il tubo, ne aveva estratto con cura un poster gialloblù, quindi lo aveva srotolato e puntinato sul legno, restando a lungo fermo a rimirare la propria opera e condendo il tutto con una sprezzante grattatina alla gioielleria di famiglia. Si trattava di un ennesimo poster celebrativo del capocannoniere dell’Hellas, Giuseppe “Nanu” Galderisi (12 reti ), non dissimile dai numerosi altri appesi lì attorno, tranne che per un particolare, e non proprio uno qualunque. Era autografato.
Un poster di Galderisi autografato. In basso a sinistra, pennarello nero, indelebile. No, anzi! Di più! Autografato con dedica: “Al mio amico Rudy Salvoro, con affetto. Nanu Galderisi”. Ad maiorem dei gloriam. Daniele rivide la scena come fosse proiettata nello specchio del bagno e, nonostante il dentifricio, riscontrò in bocca il sapore dell’invidia che quel cimelio aveva generato. Non poteva non odiare Salvoro per l’ostentazione di quel privilegio, ma nemmeno poteva non essergli grato per aver condiviso quella visione tanto preziosa.
Salvoro era rimasto a lungo fisso davanti al suo poster autografato più dedica, continuando placido con il ravanamento della zona pelvica, come innanzi a una donna nuda, senza proferire parola – certo, fra sé e sé chissà che bestemmioni di gioia stava tirando – pronto a gustarsi ogni milligrammo di meraviglia partorito dalla classe: l’indolente appropinquarsi dei curiosi, i dio bon e i vacca dì di stupore che si levavano qua e là, i primi concitati commenti, le prime timorose domande sulla provenienza dell’immagine sacra. Quando si fu saziato a dovere della propria spocchia e di toccamenti vari alle parti basse, Salvoro si era rivolto al capannello di compagni alle sue spalle col cipiglio di un attore che si appresti a improvvisare una conferenza stampa. Così facendo, non aveva potuto fare a meno di notare l’anomala patacca bianconera nel mare di manifesti gialloblù sulla parete opposta. Bastò un battito di ciglia e la faccia di Salvoro era tornata il grugno scimunito e collerico di sempre. A quei tempi girava la voce che Salvoro fosse un ragazzino così aggressivo perché suo padre era comunista e lo educava da comunista, valutò Daniele tornando a infilarsi a letto. Certo è che, in una botta sola, il piccolo proletario si era reso protagonista di ben tre imprese degne di rivaleggiare con le gesta dei mascalzoni più grandi e più quotati di lui, e i cui padri millantavano ideali politici ben diversi dal suo. Proprio mentre l’insegnante stava entrando in classe, Salvoro, con tutto lo sdegno virile di cui fu capace la sua voce di bambino (di compagno?), aveva articolato un nitido ma dio can!, indi si era avventato con furia cieca sull’icona celebrativa dei “gobbi” e infine l’aveva strappata in mille pezzi, scatenando una solidale ilarità fra i compagni di classe, anche i più civilizzati, i meno interessati al calcio – le donne – e i più capitalisti. L’insegnante, dopo aver assistito inorridita alla scena, aveva investito Salvoro con una pletora di reprimende e minacce disciplinari: – Maleducato che non sei altro! Fila subito dal preside brutto screanzato! Tu attacchi i tuoi poster e gli altri non possono? Fai i tuoi porci comodi, vieni a scuola quando ti pare e vorresti anche dettare legge? E come ti permetti di bestemmiare in classe, si può sapere? Ma vedrai stavolta, ti becchi una nota così lunga che non ci sta neanche sul libretto! Se i tuoi genitori non sono capaci, te la do io una bella lavata di capo! Io ti faccio sospendere, altro che! Un bel sei in condotta ti ritrovi… – e così via.
Salvoro aveva incassato impassibile la strigliata mentre sfogava la sua ira iconoclasta (marxista?) sul feticcio bianconero, ma doveva aver colto un indizio rivelatore nella tirata dell’insegnante – non era poi così tonto – visto che, a un certo punto, si era gonfiato tutto, le si era avvicinato e con occhi straripanti disprezzo e orgoglio scaligero aveva replicato:
– Parché? Sito stà tì a tacar via ‘sta merda?
I risolini si erano zittiti di colpo e sulla classe era calato il gelo. L’insegnante era tornata alla carica, idrofoba più che mai: – Salvoro! Pulisciti la bocca prima di parlare! Dove credi di essere mocciosetto? Sì, sono stata io ad attaccare il poster della Juve, e allora? Ognuno è libero di avere la sua squadra del cuore e di appendere in classe quello che vuole. Non esiste solo il Verona sai? Cos’è, perché hai vinto uno scudetto credi di avere il mondo in mano?
Daniele si alzò di nuovo dal letto, eccitato dal ricordo. Si mise a fare ordine fra i Topolino e gli Alan Ford, ripetendosi sottovoce il predicozzo dell’insegnante di scienze, più e più volte, fino a cristallizzare nella memoria l’esatta sensazione che aveva provato in quegli istanti, il gusto sedizioso di quell’esperienza temeraria e cruciale. Ora, mi rendo conto che quest’analogia vi sembrerà azzardata, ma vi posso assicurare che il nostro buon Daniele, mentre scartabellava nervosamente fra i suoi fumetti, e più tardi quella sera, chiudendo con Salvoro un preciso triangolo e infine trafiggendo un certo Scartozzon per il dieci a nove finale (al campetto si giocava sempre al dieci), e più oltre, discutendo la sua tesi di laurea su “Il calcio come archetipo culturale primordiale” di fronte a una commissione assonnata e ostile, e – credetemi – per tutto il resto della sua vita, il nostro marmocchio quell’episodio lo avrebbe serbato marchiato a fuoco nell’anima come un tatuaggio diafano, un imprinting primigenio, un vero e proprio sacramento.
Perché hai vinto uno scudetto credi di avere il mondo in mano?
Salvoro si era accostato all’insegnante e la osservava muto, come a concederle il diritto di riflettere bene su ciò che aveva detto. Esaurita l’inerzia dell’accaloramento, la donna stava schiumando dalla bocca, grifagna, senza riuscire più ad articolare parole. Ristettero così, a fronteggiarsi come bestie, per anni interi, mentre Daniele sfogliava l’ultimo numero di Tex Willer, e mentre veniva proclamato dottore da un cattedratico frustrato che non aveva mai toccato un pallone in vita sua, e mentre contava tenendo la mano di Sonia per non perdere il ritmo delle contrazioni, finché, il giorno prestabilito, rivide tutta la sua vita scorrere all’indietro mentre un embolo occludendogli l’aorta arrestava il flusso arterioso nel suo corpo, spaccandogli il cuore, un solo battito dopo che il pallone, colpito di collo esterno, si sganciasse dal piede per schiantarsi sull’incrocio dei pali. Rimessa dal fondo.

Perché hai vinto uno scudetto credi di avere il mondo in mano?
Salvoro aveva risposto: – Tasi ti, bruta roia juventina!
E Daniele lo aveva capito subito – lo ricordava vividamente mentre sua madre lo chiamava a fare colazione – aveva capito che doveva scegliere, che era giunto il momento. Dapprima con una voce flebile, poi via via sempre più forte, Daniele aveva iniziato a recitare la sua preghiera, a proclamare il proprio credo, a enumerare i propri numi:
– Garella, Spuri, Ferroni, Fontolan, Fabio Marangon, Luciano Marangon, Tricella, Volpati, Briegel, Bruni, Di Gennaro, Donà, Sacchetti, Elkjaer, Fanna, Nanu, Turchetta. Hellas Campione d’Italia!

Il ragazzino si sedette in tavola e sua madre gli servì tè e biscotti. Egli prese due Galletti, li unì l’uno contro l’altro e creò un Doppio Galletto. Lo tuffò nella tazza di tè e, prima che l’insolito amuleto si sfaldasse, se lo sparò in bocca vorace.
Quella sera avrebbero giocato coi grandi.

3 commenti:

  1. Ah, questo mi ha fatto venire i brividi, Gui! Malinconico, ma in punta di penna! Grande!

    A_

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  2. Ah, ti è piaciuto Adri?
    Pensa te, non avrei detto!
    In fondo la trama dov'è?!?
    lol

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