che un neonato esca dal grembo
un pugno sferrato sul volto
un bacio dopo una carezza
una certa parola dopo una certa altra
il tuono dopo il lampo
la morte
Attendere un treno, la partenza,
attendere in ospedale,
una cura
per avere tempo abbastanza, in futuro,
per attendere.
Le parole più indicate per guarire
spesso avvelenano
come il veleno più spietato
può risvegliare dal torpore dell’esistenza.
Renderci visibili a noi stessi,
farci vomitare
i sè stessi di troppo.
Attendere che il corpo risponda alle scelte
della mente.
Attendere che lei si addormenti, per osservarla.
Attendere che i corpi si bagnino, per unirli.
Attendere la fine della tempesta
o attendere che piova, per sentire il suono delle gocce
sulla pelle.
Attendere che si addormenti, finalmente...
Unire le labbra alle sue, nel sonno.
Attendere che tutto finisca, esploda,
svanisca.
E rimanere soli, col silenzio che circonda
la testa di Beethoven.
Attendere che la luce ritorni
per nascondersi di nuovo; attendere il buio,
per non vedersi più riflessi
nello specchio.
Attendere il giorno e l’ora giusti
né un momento prima né uno dopo,
per le ultime parole, l’ultimo gesto,
i più importanti.
L’istante per cui abbiamo atteso così tanto.
grazie a Derek Walcott per il silenzio che circonda le testa di Beethoven
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