1.19.2008

saga

Qualcuno la chiamò festa del rancore
ma fu tutt’altro:
catartica esibizione di debolezze
in overdose d’alcool e di fratellanza
per decomprimere i lobi
deframmentare convinzioni profonde.

Dio che hai voluto farmi tornare sulla strada
sei perdonato
Dio che hai voluto farmi esitare
sei perdonato
Dio che hai sospeso il flusso del tempo
per un impercettibile istante sufficiente
a intrecciare nuovi ignoti tessuti
nel mio essere ora ti maledico
con tutto lo stomaco avvitato
e bramo le tue viscere da divorare
ma presto sarai perdonato
Dio dell’irresolutezza,
sarai perdonato.

Ci sono cose dotate di forma e significato
che lo vogliamo o no,
le trasferiamo immaginate, sciolte,
nell'occhio impacciato
e tuttavia risplendono compiute
capillari crepitanti sotto la retina
congegni esistenziali d’autodistruzione.

La fallita festa del rancore,
una trapunta di spilli aguzzi
per drenare il sangue marcio
ricalcificare l’idea di sè
incastonata nella matrice arteriosa del tempo.

E in tutto un corpo che suda
un corpo che schiocca e si tortura
si tritura dall’interno
trasuda sete di simboli solenni
stratificata nel sesso
un cuore che batte che batte in apnea
che spacca le tempie forgiando l’idea.

L’idea del mondo
e del mondo nel corpo,
il corpo di pietra
il corpo faretra.

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