7.08.2009

Alla scoperta di David Sedaris


Trattasi di uno scrittore di origine greca (info biografiche qui) di cui mi è capitato di leggere un divertentissimo testo, letto in occasione del festival Conversazioni di Capri, quest'anno dedicato ai vizi capitali.

In questo scritto inedito, Sedaris affronta il tema dell'avidità.

Vuole l' autografo? Lasci pure la mancia...

Quando uno scrive da un po' di tempo è naturale che cominci a nutrire qualche speranza. Per me l' obiettivo è sempre stato un tour promozionale. Firmare le copie, leggere ad alta voce, portarsi appresso tutta una serie di penne e pennarelli in uno specialissimo astuccio: ecco la vita che faceva per me. Quando infine pubblicai il mio primo libro, andai in otto città, e in ognuna ricevetti manifestazioni dì solidarietà. «Spostarsi in continuazione dev' essere terribile», insisteva la gente. Usavano un sacco la parola «punitivo», ma io me la godetti dal primo all' ultimo istante. Il tour per l' edizione tascabile durò il doppio, e dunque mi piacque il doppio. Per i libri successivi il tour fu di un mesetto, con una media di venticinque città. Se non mi sono mai stancato è perché ho avuto molta fortuna, una fortuna anche un po' ingiusta. Lavorando alla radio mi ritrovo ad avere un pubblico gonfiato, nel senso che mi capita di arrivare in una libreria e trovare ad aspettarmi tra le trecento e le mille persone. Non tutte comprano libri, ma per me non è mai stato un fattore determinante. Se un reading è in programma alle sette, a me piace arrivare in libreria per le cinque. Così posso darmi subito da fare, dedicandomi a quelli che arrivano in anticipo. La sessione di firme più lunga che ho fatto è durata otto ore. È terribile pensare di stare in piedi per tutto quel tempo, ma molti non l' hanno fatto. Dopo il reading se ne sono andati a cena, per tornare con i loro libri più tardi. Alcuni sono andati a cena e a vedere un film. Altri sono andati a cena e il film l' hanno girato. Dopodiché sono tornati e mi hanno offerto le loro manifestazioni di solidarietà. «Dio, sarà stanco morto». Può suonare retorico, ma è vero che non ho mai scordato la mia fortuna. Ero ciò che avevo sempre desiderato, e in una versione talmente grande, talmente esagerata che se anche qualcuno si poneva in maniera sgradevole, io ne volevo ancora. Poi sono diventato avido, e per poco non ho rovinato tutto. La cosa ha avuto inizio durante il tour per l' edizione tascabile di Mi raccomando tutti vestiti bene. Ero a Naperville, nell' Illinois, e stavo andando alla libreria con la persona che ti accoglie in ogni città e ti porta alle interviste e agli appuntamenti. Mi ricordo che era sabato pomeriggio. Ero a corto di contanti, e così ci siamo fermati a un bancomat, dove ho infilato la carta nella fessura e sono stato mandato a quel paese. La scena si è ripetuta nei due bancomat successivi. L' accompagnatore, Bill, si è offerto di anticiparmi un po' di soldi, ma io avevo un' idea migliore. In America ormai tutti hanno il contenitore per le mance. È un fenomeno cominciato nelle caffetterie. Ha invaso le tintorie e i fioristi, e in seguito un po' tutte le attività commerciali. In un albergo di Memphis ho visto un pianoforte meccanico con sopra un contenitore per le mance. È stato allora che ho capito che tutto era possibile. E così, visto che la mia carta non funzionava, ho messo un bicchiere sul tavolo dove firmavo i libri. «Per cos' è?», mi ha chiesto una signora. E io: «Per le mance, no?». «Gli scrittori prendono la mancia quando firmano i libri?». «Ma certo», le ho risposto. «Perché non dovrebbero?».

Lei ha lasciato un paio di monetine. Ecco cos' ho imparato alla fine del primo giorno: quando il bicchiere è pieno, la gente pensa che di soldi ne hai a sufficienza, ogni tanto bisogna svuotarlo. Oppure, meglio ancora, procurarsi un contenitore più capiente. E non intendo un barattolo di caffè. Intendo un vaso. È così che sono passato da ventotto dollari a sera a duecentotrenta. Un' altra cosa che ho imparato è che incoraggiarli aiuta. «Oddio!», dicevo, non proprio urlando ma quasi, «Guardate, Todd ha appena lasciato due dollari! Che gentile, no?». Così scoraggiavo il ricorso alle monetine, e stimolavo quelli che venivano dopo Todd a seguire il suo esempio. Ho cominciato a chiedere mance quel sabato, pensando di continuare fino a mercoledì. Nel frattempo avrei parlato con la banca e ricevuto un bancomat nuovo. Il bancomat è poi arrivato, ma a quel punto mi sono accorto che avevo imboccato un cammino senza ritorno. Da duecentotrenta dollari al giorno sono passato a quattrocento, ampliando la gamma dei servizi offerti. Continuavo ad arrivare nel negozio due ore prima, cominciando a firmare i libri di quelli che erano arrivati in anticipo. Ora, però, un quarto d' ora prima che il reading iniziasse mi piazzavo in fondo alla sala e dicevo: «Se volete, per cinque dollari firmo il libro subito». Detto così sembra tanto, ma potendo scegliere tra pagare cinque dollari e aspettare cinque ore una persona sana di mente cosa farebbe? «Ha il resto di venti?», mi chiedeva qualcuno. E io: «Certo». Din, din. A Las Vegas ho tirato su duecentonovantadue dollari. Ad Anchorage, trecentoquarantaquattro. A Los Angeles un tizio mi ha dato un biglietto da cento per farsi autografare tre libri. «Lei non capisce», gli ho detto. «Io di questi soldi non ho bisogno». «E io voglio darglieli lo stesso», mi ha risposto. Se fuori dalla porta avesse trovato un mendicante non avrebbe mollato un centesimo, ma la gente ama dare soldi a chi non ne ha bisogno. Era una specie di gioco. «Ecco dieci dollari». «Eccone venti». «Ehi, Mike, dagliene cinquanta!». Continuavo a ripetermi che era tutto uno scherzo, però ogni tanto osservavo la cosa da un' altra angolazione, come quelle immagini che se le guardi da un lato vedi una bella ragazza, e dall' altro un teschio. A quel punto provavo vergogna, ma mai abbastanza da smettere. A Louisville, nel Kentucky, ho accettato i soldi della paghetta di un bambino di dieci anni che per venirmi a sentire aveva fatto un viaggio di due ore e mezzo. Non prendevo la gente di petto, non ho mai detto a qualcuno che doveva darmi la mancia, eppure dopo un po' di tempo, parlo di ore, non di settimane, ho cominciato a odiare quelli che non mi davano niente. Stronzi egoisti, pensavo. Poco importava che avessero comprato il libro, e aspettato in piedi, al caldo, in fila. A fine serata contavo i soldi. Solo duecentoquattordici?, pensavo. In questa libreria non ci metto più piede. Città che una volta visitavo volentieri ora mi sembravano posti da pezzenti. San Francisco, per esempio, e Boulder, in Colorado, capitale americana del braccino corto. Dallas invece non era male: quattrocentocinquantaquattro dollari! Nuovo record. Avevo cominciato a metà del tour, e una volta finito mi sono ritrovato con più di quattromila dollari. La mia raccolta di racconti successiva, Quando siete inghiottiti dalle fiamme, è uscita nel giugno del 2008. Il tour è durato un mese, e pur essendomelo goduto non sono riuscito a togliermi di dosso la sensazione che mancasse qualcosa. Migliaia di cose, a dire il vero. Certe sere guardavo la folla davanti a me e non pensavoDio quanto sono fortunato, ma Chissà quanti soldi mi avrebbero dato.

David Sedaris